Con l'espressione massacri delle foibe, o spesso solo foibe, si intendono gli eccidi ai danni della popolazione italiana della Venezia Giulia e della Dalmazia, occorsi durante la seconda guerra mondiale e nell'immediato dopoguerra. Il nome deriva dai grandi inghiottitoi carsici dove furono gettati molti dei corpi delle vittime, che nella Venezia Giulia sono chiamati, appunto, "foibe". Per estensione i termini "foibe" e il neologismo "infoibare" sono diventati sinonimi di uccisioni che in realtà furono in massima parte perpetrate in modo diverso: la maggioranza delle vittime morì nei campi di prigionia jugoslavi o durante la deportazione verso di essi. Il fenomeno dei massacri delle foibe è da inquadrare storicamente nell'ambito della secolare disputa fra italiani e popoli slavi per il possesso delle terre dell'Adriatico orientale, nelle lotte intestine fra i diversi popoli che vivevano in quell'area e nelle grandi ondate epurative jugoslave del dopoguerra, che colpirono centinaia di migliaia di persone in un paese nel quale, con il crollo della dittatura fascista, andava imponendosi quella di stampo filosovietico, con mire sui territori di diversi paesi confinanti.

 

Gli eccidi delle foibe ed il successivo esodo costituiscono l'epilogo di una secolare lotta per il predominio sull'Adriatico orientale, che fu conteso da popolazioni italiane eslave (prevalentemente croate e slovene, ma anche serbe). Tale lotta si inserisce all'interno di un fenomeno più ampio e che fu legato all'affermarsi degli stati nazionaliin territori etnicamente misti.

Nonostante la ricerca scientifica abbia, fin dagli anni novanta del XX secolo, sufficientemente chiarito gli avvenimenti, la conoscenza dei fatti nella pubblica opinione permane distorta ed oggetto di confuse polemiche politiche, che ingigantiscono o sminuiscono i fatti a seconda della convenienza ideologica.

Prima del XIX secolo, in Venezia Giulia e Dalmazia, avevano convissuto popolazioni di lingua romanza e slava. I primi insediamenti di popolazioni slave, giunte a seguito degli Avari, risalgono al IX secolo (sia in Istria che Dalmazia)[19]. Ulteriori insediamenti si verificarono in epoche successive; per quanto riguarda l'Istria, ad esempio, in seguito alle pestilenze del XV e XVI secolo. Le ricorrenti tensioni[quali tensioni?] non erano dovute ad ancora inesistenti sentimenti di identificazione nazionale, essendo ben noti - peraltro - fin dall'antichità i concetti di stirpe e di tribù[senza fonte], (le diverse etnie, inoltre, erano in larga misura mischiate).[20] Vi era una differenza di carattere linguistico - culturale fra città e costa (prevalentemente romanzo-italiche) e le campagne dell'entroterra (in parte slavi o slavizzati). Le classi dominanti (aristocrazia e borghesia) erano dovunque di lingua e cultura italiana, anche qualora di origine slava.

Con la Primavera dei Popoli del 1848-49, anche nell'Adriatico orientale, il sentimento di appartenenza nazionale cessò di essere una prerogativa delle classi elevate e cominciò, gradualmente, a estendersi alla masse. Fu solo a partire da tale anno che il termine "italiano" (ad esempio) cessò, anche in queste terre, di essere una mera espressione di appartenenza geografica o culturale e cominciò ad implicare l'appartenenza a una "nazione" italiana. Analogo processo subirono gli altri gruppi nazionali: si vennero pertanto a definire i moderni gruppi nazionali: italiani, sloveni, croati e serbi.

Dopo il 1848-49 pertanto, in Venezia Giulia, il senso di identità nazionale, precedentemente prerogativa di parti della nobiltà e della borghesia italiane, cominciò ad investire tutti gli ambienti urbani. Al di fuori di città e borghi, fu il clero che svolse un ruolo fondamentale nel "risveglio nazionale" delle popolazioni slovene e croate (allora genericamente "slave"), maggioritarie nelle campagne. L'affermarsi delle nazionalità portò a una suddivisione della società in chiave nazionale, divisione che coincise approssimativamente con la precedente divisione fra centri urbani (prevalentemente costieri) e comunità rurali (prevalentemente dell'interno). Si vennero a creare le contrapposizioni nazionali: le tradizionali élite economiche e politiche, già culturalmente italiane, si riscoprirono tali anche su un piano di identificazione nazionale, seguite dal popolo. Dall'altra parte nacquero delle élite di sentimenti slavi, inizialmente formate dal clero, ma successivamente anche da nuovi borghesi, che si fecero portavoce delle rivendicazioni culturali e politiche slave, progressivamente coinvolgendo anche i pastori e contadini slavi. Le élite italiane cercarono di mantenere il tradizionale predominio politico, economico e culturale, contrastando le ambizioni slave (queste ultime favorite Vienna). Fu così che, specie a partire dal 1866, la contrapposizione nazionale caratterizzò la vita e la cultura dell'Istria, di Fiume e di Trieste.

In Dalmazia[25] il primo ideale di nazionalità si concretizzo nel concetto di una nazione dalmata, che racchiudeva in sé radici slave e romanze. Col nascere del nazionalismo croato, questo ideale venne combattuto dal Partito del Popolo croato (Narodna stranka), che sosteneva che la nazionalità dei dalmati fosse croata, e richiedeva, di conseguenza, l'unione del regno di Dalmazia alla Croazia, negava l'esistenza stessa di una componente italiana in Dalmazia e invocava l'eliminazione dell'uso dell'italiano nella vita pubblica e la croatizzazione delle scuole. La Dalmazia veniva considerata integralmente croata fin dall'alto medioevo. Gli italiani venivano considerati una realtà estranea (come i pieds noirs in Algeria), frutto di "invasioni straniere" che avevano italianizzato parte della popolazione croata originaria. In conseguenza della politica del Partito del Popolo, che conquistò gradualmente il potere, in Dalmazia si verificò una costante diminuzione della popolazione italiana, in un contesto di repressione che assunse anche tratti violenti[26]. Nel 1845 i censimenti austriaci (peraltro approssimativi) registravano quasi il 20% di Italiani in Dalmazia, mentre nel 1910 erano ridotti a circa il 2,7%. Tutto ciò spinse sempre più gli autonomisti ad identificare sé stessi come italiani, fino ad approdare all'irredentismo. Dopo la nascita del Regno d'Italia, il sorgere dell'irredentismo italiano portò il governo asburgico, tanto in Dalmazia, quanto in Venezia Giulia, a favorire il nascente nazionalismo di sloveni[27] e croati, nazionalità ritenute più leali ed affidabili rispetto agli italiani[27][28]. Si intendeva così bilanciare non solo il potere delle ben organizzate comunità urbane italiane[29], ma anche l'espansionismo serbo[senza fonte], che mirava ad unificare tutti gli slavi del sud.

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